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martedì 24 maggio 2011

CAPITOLO SECONDO








   Ero affiancato accanto alla struttura candida e piena di archi, semidistrutta.
   Marciavo, instancabile. Neppure la fine del mondo, che pareva prossima a emanarsi, mi avrebbe fermato.
   Il suolo non era più regolare. Freddo come non mai, mi faceva sussultare. Avevo una pelle bollente, come il mio sangue, e mai avrei potuto immaginare che il gelo fosse così irritante e insopportabile.
   Toccavo, cercando conforto, l’armatura che era in realtà destinata per un'altra occasione, e non sapendo cosa avrebbe comportato questa ricerca, me ne appropriai, andandola a scovare nella piccola stanza di mio padre carica di munizioni,  che non aveva più una forma stabile, come la mia casa del tutto annientata. Sì, seppur non fossi un ufficiale controllore, avevo bisogno di una protezione adeguata, non tanto per le impervie, ma soltanto per sentirmi sicuro. Non sapevo cosa sarebbe capitato, che cosa avrei trovato, quali sorprese avrei avuto, positive e soprattutto negative. Ero sicuro che non avrei trovato nulla di buono.


    Nel mio anulare destro avevo inserito il gioiello di Eresm, che aveva perso i suoi poteri. Soltanto il suo consentimento, proveniente dalla sua anima, mi avrebbe dato modo di poter usare la magia, che ella avrebbe comunque avuto per tutta la sua esistenza. Non maschi, a differenza di loro, avevamo bisogno del "prestito".
   Sul volto era adagiato il copricapo di mio padre, che mi nascondeva le guance, dandomi più sicurezza. Era come se lui me le trattenesse, come faceva quando ero bambino. Crescendo i nostri rapporti si erano deteriorati. Non mi era nota la causa. Questo era un comportamento che andava di inerzia. Tutti i padri erano severi con i figli. Le madri invece erano più accondiscendenti e pacate. Sapevano ascoltare.
   Io sarei voluto diventare come mia madre, non così colerico e rigido come lui. Mi ripromisi tempo fa, semmai avessi avuto un figlio con Eresm, di divenire il suo opposto. Oramai ero solo, quindi non avrei neppure progenie.
   Però, osservando per un attimo la sua spada, mentre il ritmo del passo decelerava, pensai che in fondo mi volesse bene, sennò non me l’avrebbe lanciata.
   A differenza di quella che avrei dovuto usare per combattere contro l’eventuale concorrente, ella era più forte e resistente, a causa dell'età di mio padre e della sua esperienza.
   La sfilai dal suo astuccio bianco, unito sull'addome grazie a una cinghia, portandomela davanti, così da poterla esaminare. Era con un'elsa sottile e fatta d'oro, con un lieve vezzo obliquo di platino, che era presente anche nel resto. Maneggevole, collegata immediatamente con la lama laboriosa fatta di rombi e linee curve, aveva un disegno stilizzato a sbalzo, dove si notavano due linee diagonali e separare, collegate con una forma che finiva a V. Emanava potenza, brillantezza e forza, una qualità che parve mancarmi.


   Sulle mie braccia corazzate avevo adagiati i miei scudi, presenti su ambe le parti. Di solito erano simili a un cerchio, con il simbolo romboidale al centro, ove poi si susseguivano gli stessi materiali preziosi della spada. Ma avevano un potere speciale. Se mi sentivo in  pericolo o erano lontano da me, reagivano, portando fuori tutti i suoi spuntoni.




   Ripresi la marcia. Dopo diversi passi mi fermai a osservare le scritte sacre che emanavano quelle preghiere che osannavano Ràal. Ora, lui, dov’era? Esisteva veramente, oppure era una convinzione mentale? No, doveva esistere, anche se era invisibile e intoccabile. Doveva, non poteva. Forse perché una parte di Lui si racchiudeva dentro di me dovevo fare le sue veci. Eppure mi domandavo perché me? Chi ero io, a dispetto degli altri? Nessuno poteva darmi risposta, se non lo stesso Ràal.

   Proseguii. Davanti a me si oppose una parte del corridoio bianco, stracciato dalla sua forma solita, riversa a terra. Davanti a esso c’era un dirupo e , guardando su notai che il Cielo bluastro e scuro parve scendere, seguendo il ritmo del territorio. L’anello rosso sembrava l’unico non corrotto da ciò che era successo, anche se era lievemente inclinato e pareva “dolorante”. La Luna si era dileguata, il Sole, presente, era spento, avendo sopra di esso delle strane chiazze scure e informi.
   Presi coraggio, dovevo controllare se ci sarei comunque riuscito a scavalcare quel dislivello, ma guardando il Cielo più attentamente notai che esso era notevolmente diviso dal tetto che prima era parallelo e liscio, creando una forma enorme a cinque lati sformati, irregolari e spigolosi, facendomi presagire che sarebbe stato davvero arduo passare di lì, ma che Naa non doveva neppure essere troppo lontano. Una soluzione sarebbe arrivata, in qualsiasi modo.


   Improvvisamente, dopo tanto marciare, finalmente all'orizzonte scorsi la chioma dell'albero sacro. Accelerai il passo, sentendo su di me il ritmo incalzante dell'armatura che strideva, facendomi rabbrividire.
   Mi fermai, vicino al burrone. Lo vidi. Ne rimasi sconvolto.





    Davanti a me si presentò un immenso albero fatto di cinque fusti contorti, che giravano a spirale, come se volessero tenersi stretti e mai più abbandonarsi. La chioma era densa e piena di foglie grandi in costante movimento. Sentivo il loro sfregare, che emanava un rumore simile a un rantolo sofferente.
   Sembrava che toccasse il Cielo. Io, stando in un punto così in alto, dovetti alzare la testa per vedere dove arrivasse.

   << Aiuto! >> sentii strillare poco lontano da me. Mi venne un colpo. Pareva la voce di Eresm.  
   Abbassai il capo, di scatto Corsi verso quel richiamo che avevo udito, mi affacciai, quasi rischiando di cadere. La cercai.
    Vidi una giovane donna aggrappata, disperata, che da lì a poco sarebbe caduta. Di nuovo ebbi quel compito gravoso, ma questa volta nessuno sarebbe caduto.
   La soccorsi. La presi. La sua mano bollente toccò la mia. Afferrai le sue braccia, la portai accanto a me. La strinsi e accolsi le sue lacrime di spavento e il suo tono di ringraziamento. Non si allontanò, come di solito si fa con un estraneo.
   Ebbi un attimo d’imbarazzo.  Mai, in vita mia, avevo stretto una femmina in quel modo.
    << Leonos >> esclamò d’un tratto, anteponendo il mio sussulto, che acclamava la speranza che Eresm fosse viva. Ma non era lei. Come a me, quell’elfa mi aveva confuso con un altro. 
    La sua chioma fulva e piena di ricci si mosse. Si mise a osservarmi con i suoi lobi viola. Si distaccò da quel contatto, che mi fece rimanere attonito e con le mani d’innanzi, come se avessi, in quel preciso istante, perso qualcosa.
   << Senza di te non ce l’avrei fatta! >> fece una pausa e poi riprese, << Sono alla ricerca disperata dei miei simili. Credevo che qui avrei trovato risposta. Sono tutti morti… tutti morti! >> emise, confusa.
   << Anch’io sono nella tua stessa situazione, seppure i miei simili, e gli altri, sono vivi… >> dissi, capendo solo in quel momento perché non avevo visto nessuno della specie di fuoco.
   << Davvero? >> chiese con tono spaventato, portando il suo viso disperato accanto al mio. Sentii il suo respiro sulle mie guance protette dall’elmo.
   << Sì, probabilmente i tuoi sono in un’altra parte. Non disperare, in qualche modo ce la farai a trovarli >> farfugliai, mettendomi in piedi.
   << Non verrai con me? >> chiese, sconcertata e sconvolta, alzandosi con un unico gesto. Solo in quel momento mi accorsi quale strano abito aveva addosso. Era diviso in due parti. La superiore cingeva il seno, proseguendo sopra le spalle, morbidamente, creando poi due fasce che cadevano morbidamente. Poi il inguine era nascosto da del tessuto nero, che davanti ad esso aveva un cerchio rosso, dello stesso colore del vestito. sui fianchi si susseguivano diverse balse, alcune unite ai suoi bracciali. I piedi erano scalzi. 




   << Io devo tentare di rimettere a posto l’Equilibrio della nostra Terra… >> dissi, parendo più mia madre che me stesso.
   << Tu?! Sei un comune elfo. Sei un mortale! >> commentò, osservandomi ancora, allontanandosi spaventata dal dirupo, guardandolo come se fosse il suo peggiore nemico.
   << So di essere un comune mortale ma… vedi qualcun altro oltre noi due? >> le domandai, cercando di farle ritornare la ragione.
   << No >> replicò, lievemente acida. << Come ti chiami? >> chiese, abbracciandosi. Percepiva anche lei la temperatura insolita. In quel modo, forse, stava cercando riparo.
   << Caos >>
   << Io sono Ismeria. Per gli amici Isme >> disse, d’un fiato, pensando probabilmente, poco più tardi, che gli amici non ne aveva più.
   << Prima mi hai chiamato Leonos… >> mormorai, confuso.
    << Assomigli molto a… lascia stare… >> emise, rancorosa. Non ne voleva parlare. Le faceva troppo male ricordare. La capivo. Avevo dentro il corpo come una energia contorta, solida e pungente, che raschiava tutti i suoi organi, pulsando sulla pelle.
   << Epsotek è molto lontano da qui… come hai fatto…>> dissi, cercando di riprendere il discorso, che lei prontamente scavalcò. << Ad arrivare dove sei tu? Nel tuo stesso modo. Credi che forse Artenos sia più perfetta delle altre? Credimi, ti sbagli. Non hai avuto soltanto tu la stessa idea…>> indicò un corridoio lungo che stava nella parte trasversale da dove eravamo collocati, e poi si fermò e dalla sua sacca vidi comparire una cartina. In quel momento, dal suo dito, rividi il nostro mondo. Già sapevo come fosse fatto, ma comunque ci diedi un’occhiata. Era a cinque punte, che si univano, tramite i confini, centralmente a Naa, da dove partivano diversi corridoi che sparivano, oltre il mare del nulla, che ci circondava.  A nord c’era Epsotek, poi a est Deltes, l’isola divisa da tutto a forma di semplice punta, dove sicuramente era posto la statua del dio Meeres. Poi a sudest era collocata Gamilok, la città della natura e a sudovest, vicino a noi, c’era Betkhotos, la terra dell’aria.
   << Nulla è più come prima… >> mormorò, mettendo via subito dopo la sua mappa.
    Non sapevo a cosa si riferisse, con quelle parole. Me ne ero accorto anche io che nulla era come prima, ma forse lei pensava ad altro.
   << Sai perché è successo tutto questo? >> emise, preoccupata, soppiantando quello che aveva appena detto.
   << Sì… o perlomeno credo di conoscere la causa >> dissi silenzio, non sapendo come dirglielo. Lei mi fece segno di proseguire. Ripresi parola, con tono ansante, << Ho trovato una gemma strana. Avrai presente le pietre della salvezza, no?  Ebbene, una di queste non era propriamente una di loro. L’ho portata al dio Ràal, alla sua statua e non so perché è successo questo… >>.
   Non ebbi neppure di emanare un respiro dopo quella frase che il mio corpo fu ripetutamente colpito dai suoi pugni.  I miei scudi reagirono in maniera improvvisa. Gli spuntoni scattarono, facendola indietreggiare, con uno sguardo schifato denso di estremo disprezzo.
   << Sei stato tu! Tu! Mi hai portato via tutto! Tutto! >> emise urlando, scappando via, facendo avanti e  indietro tenendo le dita tra i capelli, prevalsa immediatamente dalle lacrime.
   << E’ per questo che sono qui >> le dissi, senza voce, sentendomi enormemente in colpa.
   << E’ per questo che sei qui? Oh, davvero! Come potevo non immaginarlo! Ho presente davanti a me il grande Caos, scusami! >> mi schernì, facendomi un finto inchino, con espressione malvagia.
   << E’ inutile che verseggi così. Non potremo mai portare indietro i nostri simili se litighiamo tra di noi e se non ci sbrighiamo ad andare da Naa >> emisi, indicandolo.
   << Dimmi tu come possiamo riuscirci! >> commentò, irritata, contorcendo la parte superiore del corpo, trattenendo il resto in modo inverso.
   Scrutai ciò che avevo davanti. Vidi, poco lontano, una specie di ammasso di rocce che poteva darci modo di scivolare fino a giù.
   << Ecco, passeremo proprio da lì! >> esclamai. Lei si avvicinò a me, osservando il punto che io indicai.
   << Davvero… impervio, ma credo che possa riuscirci>>.
   << Che noi due possiamo riuscirci! >> la corressi, palesemente scocciato.
   << Sì, come vuoi. Muoviamoci, prima che qualche altro cataclisma ci annienti l’unica nostra speranza… >>. E dopo aver detto questo incominciò a muoversi in direzione del luogo dove c’era l’ammasso obliquo.
    In quel momento, fissandola mentre si muoveva, desiderai che io fossi rimasto solo.
    In poco tempo arrivammo dove c’eravamo prefissi di arrivare e senza che lei parlasse, incurante di tutto saltò giù, correndo, saltando in maniera atletica e senza paura, concludendo con uno scivolone.
    << Ancora stai lì? >> urlò, sentendo di lei solo un eco.
    La imitai, con difficoltà, sentendo su di me il peso della mia armatura. Per poco non scivolai, rischiando di catapultarmi malamente sul suolo, a causa di un sasso traballante.
    Appena arrivai davanti a Naa fui scosso da quella vista immensa, ancor di più di prima.
    Lo guardai dal basso verso l’alto. Osservai la struttura pentagonale, spostata dalle radici che  uscivano ed entravano dentro il suolo polveroso, carica di una sere di mura cristalline che si susseguivano, mostrando in evidenza dei pilastri che si collegavano con i tronchi, tramite a delle grandissime arterie intricate, che non avevano più vita, a contrario della corteccia. Essa si "muoveva", creando strani effetti con i suoi toni chiari e scuri.
    Un tetto cilindrico e spigoloso, avente un grande foro, dava modo che l’albero potesse uscirne.
    Era così che tutto funzionava. Era così che Naa riceveva le placente. Toccando quasi il Cielo per gli déi era facile appropriarsi di tutto ciò che noi mandavamo.
    Ismeria si affrettò ad andare verso il collegamento che designava la sua città.
    << Isme, andiamo prima nel mio settore. Forse è lì che potremmo trovare qualcosa… >> emisi. << E’ lì che potrò capire tutto >> pensai, ricordando la voce femminile che mi “costrinse” a fare quel folle gesto.
    << Sì. Forse è meglio… Non credo che nel mio troveremo mai qualcosa >> ammise, con tono rassegnato.
     Marciammo lentamente. Lei era davanti a me, crucciandosi la chioma che oscillò selvaggiamente, seguendo il ritmo dei muscoli della schiena, che veniva celata e poi mostrata da quei ricci focosi.
    << E se Naa non riuscisse a parlare? >> disse, fermandosi per un attimo.
   << Allora cercheremo un'altra soluzione. Ci deve essere, capisci? >>
   << Tu come hai trovato questa pietra della salvezza? >> emise, riprendendo la marcia. Io, nel frattempo, ero arrivato di lato a lei.
    << Per caso. Tra tante… >>
   << E hai avuto la brillante idea di mettere questa maledettissima pietra proprio sotto al tuo dio? >>
    << Sì… capisco che ce l’hai a morte con me, non reputo che sia la scelta più giusta. I tuoi non torneranno indietro neppure se mi ripeterai all’infinito ciò che tu provi… >>
   << Caos! Sono tutti morti! Tu non capisci. Forse non hai visto cos’è successo a Epsotek! Il fuoco ha inghiottito tutto e ha mandato nel centro della nostra terra tutto ciò che la mia città era. Io mi sono salvata per pura fortuna… anche se non capisco come un nostro elemento possa portare tanta distruzione. E’ come se tu morissi per colpa del Sole, gli elfi di Deltes a causa di un maremoto o per un diluvio, quelli di Gamilok per la forza della natura e gli altri di Betkhotos per colpa di una raffica di vento. E’ innaturale tutto ciò! Ma forse, l’unica mia speranza e proprio riportare Zholown a quello che era prima… >> disse, confusa.   
   << Tentiamo… >> emisi, vedendo il pilastro enorme con il nome della mia città, appuntato sopra di esso.
    Mi avvicinai e vidi un grande pilastro pieno di scritte in rilievo. In cerchio circoscritto da un rombo. La pietra viva, dentro la roccia.  
   << Ma non avevi detto che avevi messo questa cosa dal tuo dio? >> chiese seccata Isme, che si affrettò a togliere quell’oggetto dalla superficie. Udii un rantolo.
   << Ferma! >> esclamai, percependo una strana sensazione. Si creò una bolla d’energia sonora che la scaraventò via, facendomi impazzire le orecchie, che fischiarono tremendamente.  Appena ebbi controllo del mio corpo mi apprestai a soccorrerla immediatamente, essendo lei ancora riversa a terra e carica di chiazze scure, a causa del contatto.
   << Tutto bene? >> le chiesi, prendendole una mano.
   << Sì… se si può dire che io stia bene. Mi sento tutto sotto sopra. I piedi si sono spostati sulla testa e il cervello lo ritrovo nella pancia! >> ammise, aggrappandosi alla stretta per rimettersi su.
   << Non credo che la situazione sia facile… >> le riferii, ritirando la presa, appena mi assicurai che lei stesse bene.
   << Almeno ho tentato… >> rispose a fatica, sputando all’improvviso un po’ di sangue grumoso, scuro e cremisi. << Maledizione… >> disse, irritata, pulendosi la parte sporca con parte del polso.
   << Sei sicura che stai bene? >> le domandai, spaventato.
   << Non sono una debole. Prova tu a fare qualcosa. Forse sono stata respinta perché non sono di Artenos! >> squittì, girandosi lievemente.
    Annuii, procedendo verso il pilastro. Osservai con estrema attenzione ciò che avevo davanti. In quel momento intravidi qualcosa di insolito, che non avevo notato prima. La sequenza dei colori, quindi delle città, era errato. Artenos era a nord, Betkhotos a est,  Gamilok a sud est,  Deltes a sudovest e  Epsotek era dove prima era posizionata la mia città.
     Osservai sconcertato Isme. Lei, anche se non avevo detto nessuna parola, annuì. In quel momento capii cosa voleva dire, poco fa. A cosa si riferisse con quella frase. Nulla era davvero come prima. L’avrei dovuto capire, osservando i toni dei Cieli.
   Dopo qualche istante posai le mani non sulla lastra, ma su un punto che mi sembrava simile a quello che io stesso usavo per comunicare con i miei amici.
   Una strana luminescenza accerchiò i suoi contorni.
   << Sai cos’è successo? >> gli domandai, in silenzio.
   Non ci fu nessuna risposta, ma più che altro un’azione. La luminescenza dorata salì su, fin a raggiungere le venature che iniziarono a pulsare e poi un'altra incolore arrivò davanti a me.
    E’ stato trovato ciò che si era perso. Ciò fu quello che lessi.
   << Che significa? >> pensai, senza raziocino. La domanda fu consegnata. Ismeria intanto si avvicinò a me, curiosa.
    Essa è l’anima negativa di Ràal, che con il tuo gesto si è purificata. Tutte le altre, come la sua, sono disperse nel mondo di Zholown. E’ appunto per questo che tutto si è confuso ed è diventato così. Tu, piccolo elfo, avendo scatenato tutto ciò, devi trovarle.    
   << E come? >>
    Ti guiderò io. Se non farai quello che ti dico, rimarrai solo per sempre e sarai destinato a soffrire, avendo su di te tutte le intemperie che il tuo gesto ha comportato.
   << Ma non sono solo, con me ho Ismeria! >> lo rimproverai, ma lui non mi rispose.
    Ora vai. Betkhotos ti aspetta. Non credere che ciò che troverai sarà facile. C’è tutto quel che può essere maligno dell’anima degli dèi, che ti attende.
    Dopo aver letto ciò sentii la mia presa staccarsi indirettamente. Ebbi timore, serrai la mia spada. Un vento mi prevalse, circondandomi.
    Ismeria era ancora sorpresa nell’aver visto ciò che Naa aveva codificato, ma dopo un po’ non parve preoccuparsene, anticipandomi.
    Arrivammo d’innanzi a una porta aperta, collegata al tronco semitrasparente e azzurrino. Ella ci invitava a entrare. Mi sentii prendere la mano, che tremava di paura. Andammo in avanti e ci sentimmo trasportati in un altro posto, pronti entrambi a sconfiggere ciò che ci avrebbe atteso.


Capitolo primo:
http://progettomillemani.blogspot.com/2011/04/primo-capitolo.html

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